E’ il primo riconoscimento, a livello europeo, delle “valute virtuali” nello scambio con le “valute legali”, e dei “prestatori di servizi di portafoglio digitale”. Può essere il primo passo verso una regolamentazione delle criptovalute.
A distanza di meno di un anno dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 90 del 25 maggio 2017 recante modifiche alla normativa italiana in materia di antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento del terrorismo (in attuazione della direttiva IV direttiva antiriciclaggio), è stata pubblicata, in data 19 giugno c.a., nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, la direttiva n. 2018/843 del 30 maggio 2018 che modifica la direttiva UE 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo. A tale V direttiva antiriciclaggio gli Stati membri devono adeguarsi, con misure adeguate nella propria legislazione interna, entro il 10 gennaio 2020.
L’intento della nuova normativa è sempre quello di prevenire l’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, ma si amplia ora con la previsione dei “prestatori di servizi di cambio tra valute virtuali e valute legali” e con i “prestatori di servizi di portafoglio digitale”.
La direttiva prevede, in particolare, precise regole per l’identificazione dei beneficiari effettivi delle imprese che operano nell’Unione Europea al fine di mettere a disposizione della cittadinanza ogni utile informazione sugli effettivi proprietari delle imprese. E’ insomma una misura in più per reprimere l’uso fraudolento di società fantasma create apposta per riciclare denaro, nascondere i patrimoni ed evitare il pagamento delle tasse.
Ma ecco la parte che più ci interessa, perché regole antiriciclaggio vengono disposte anche per criptovalute, pur senza menzionarle: “i prestatori di servizi di cambio tra valute virtuali e valute legali”, e “i prestatori di servizi di portafoglio digitale per le valute virtuali” sono obbligati ad applicare controlli accurati sulla propria clientela, al fine di rendere trasparente qualsiasi transazione di denaro anche con “valute virtuali”. Mentre si prevede, d’altra parte, l’obbligo di registrazione per le piattaforme e i prestatori di servizi operanti con tali valute.
Giova riportare la definizione di “valuta virtuale”, e per implicito di criptovaluta, data dalla UE con tale direttiva: “Una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”.
Si sottolinea anche che “Le valute virtuali non dovrebbero essere confuse con la moneta elettronica. (…) Sebbene le valute virtuali possano essere spesso utilizzate come mezzo di pagamento, potrebbero essere usate anche per altri scopi e avere impiego più ampio, ad esempio come mezzo di scambio, di investimento, come prodotti di riserva di valore o essere utilizzate in casinò online”.
Viene poi definita la figura del “prestatore di servizi di portafoglio digitale”, come “un soggetto che fornisce servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, al fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali”.
E’ insomma il primo riconoscimento ufficiale delle criptovalute a livello europeo, che vengono distinte dalle valute fiat, con precise linee guida agli Stati membri che dovranno fare altrettanto.
Ma è un riconoscimento che già vale per tutti gli Stati membri dell’Unione, data la forza cogente della normativa comunitaria, e possiamo dire che il Giappone non è già più l’unico grande Paese ad aver riconosciuto ufficialmente la valuta digitale.
12 luglio 2018 Avv. Giovanni Bonomo